Roma, 10 Febbraio 2009
La storia del velodromo dell'EUR è una classica vicenda di sentimenti contrastanti, sguardi al futuro e nostalgie, affarismo, cinismo, sensazionalismo, ed in ultimo, illegalità.
Costruito per le Olimpiadi del 1960 questa struttura acquista fama mondiale, per la nettezza del suo stile moderno, il fascino della cavea in legno, la geometria che sfugge alle forme canoniche. Vi si disputano competizioni internazionali, ci si gira anche un film, poi viene abbandonato. Il ciclismo su pista non interessa, ed il velodromo nemmeno.
Dopo 40 ani di incurie, quando ormai è davvero pericoloso e si teme per i senzatetto che spesso vi trovavano rifugio, una grande società lo acquista e predispone un importante concorso per trasformarlo in un centro dell'acqua e del benessere, mantenendo non la struttura ma almeno la forma.
A questo punto si risvegliano gli Sgarbi della situazione, gli immobilisti che fino ad allora avevano ignorato o trascurato il velodromo ne fanno una bandiera della conservazione e della memoria, e tentano in ogni modo di ostacolare i progetti previsti. La società proprietaria a luglio del 2008, in maniera sorprendentemente veloce, lo imbottisce di tritolo e lo fa spettacolarmente esplodere.
Fin qui è una delle tante, pessime, tristi, storie all'italiana.
Finché oggi non si scopre che con quell'esplosione si potrebbero essere propagate grosse quantità di amianto, che chi sapeva ha taciuto, e chi non sapeva ancora vive accanto a queste pericolosissime polveri. Per questa storia non c'è lieto fine ma solo vergogna.
[microsphera]

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