Edilizie, 28 Aprile 2009
Dirlo meglio era assai difficile, un sentito grazie ad Estella Marino:

Puntualmente, dopo ogni evento a sfondo catastrofico, come il terremoto in Abruzzo, parte la sagra delle sciocchezze… l’ultima che ho sentito, e che sta riscuotendo anche un discreto successo, è questa: “facciamo un’etichetta degli edifici in cui ci sia il riferimento a un unico responsabile”. Un signor Malaussène all’italiana, insomma: così dopo aver messo alla gogna il capro espiatorio siamo tutti più sollevati.Chi lavora nel settore edile, o dei lavori pubblici in generale, sa che quest’ennesima norma, etichetta, fascicolo (ve lo ricordate il fascicolo del fabbricato?) non serve, e non risolverebbe granché, basterebbe invece che tutte le figure coinvolte, (progettista, tecnici, impresa, direttore lavori, collaudatore, che sono già responsabili ognuno per la relativa fase del processo ) facessero onestamente il loro lavoro, e che nel caso contrario venissero sanzionati, come accade nei paesi normali. E non è in fondo neanche possibile che ci sia un unico soggetto responsabile di tutto; la costruzione di un edificio è un processo costituito da vari passaggi con responsabilità diverse, ad esempio che colpa ha il progettista che disegna l’opera in modo corretto, se l’impresa dichiara il falso sul cemento? E magari mette un cemento che non è lo stesso di quello consegnato alla direzione lavori per le prove obbligatorie a norma di legge? Giusto l’altro giorno in televisione una persona che aveva lavorato per un’impresa edile raccontava di come si facessero arrivare due betoniere, una con il cemento per le prove, l’altra per la gettata in opera, con caratteristiche e costi, ovviamente ‘diversi’: in una situazione come questa non c’è etichetta che tenga. Ogni attore del processo edilizio ha le proprie responsabilità conformemente alle proprie competenze; il problema è che in Italia non funziona la regola del “chi sbaglia (soprattutto se con dolo) paga”.
Le leggi ci sono, come al solito, il problema è farle rispettare; anche la normativa antisismica e le conoscenze tecniche e tecnologiche sono abbastanza avanzate, al punto da essere in grado di ridurre i rischi e i danni se correttamente applicate. Il problema è che il pressappochismo e lo scarso senso dell’etica e del bene comune - tipici di una certa mentalità nostrana - mentre in altri settori producono “solo” disfunzioni ed inefficienze, nel settore dell’edilizia e del governo del territorio producono morti.
E dove sono le pubbliche amministrazioni e gli enti locali, sempre un po’ odiati quando tentano di far rispettare le leggi che governano il vivere comune, ma poi invocati al pari di demiurghi in queste situazioni? Ovviamente non sono dei soggetti astratti, sono costituiti da uomini e da donne, che noi ci auguriamo essere i migliori, perché devono appunto governare, vigilare e controllare, e qui mi fermo perché non c’è altro da dire per far emergere il nesso che c’è tra la qualità, la capacità, le risorse (abbiamo tolto anche l’ICI, chissà come pagheremo i bravi tecnici che tutti i giorni lavorano sui nostri territori) di cui dispone l’ente locale e l’efficacia ed efficienza della sua azione di tutela, controllo, vigilanza, governo del territorio.
Anche io, come dice l’estensore di una nota che sta circolando in questi giorni sulla rete, vorrei che questo fosse meno il paese dello slancio di solidarietà nell’emergenza e più il paese di una ordinaria efficienza e rispetto delle regole. Ci troviamo di fronte a problemi complessi, endemici del sistema-paese, che sono quotidianamente ignorati e ai quali fanno da contraltare semplicistiche soluzioni estemporanee lanciate nel grande vortice della chiacchiera post evento catastrofico, momento in cui tutti diventano esperti di qualcosa che dimenticano pochi giorni dopo. Restiamo noi, nella quotidianità del nostro lavoro e della nostra professione a combattere in silenzio gli stessi problemi complessi nei restanti giorni dell’anno, al grido di “ingegnè, non si preoccupi!”.

[cm]

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